mercoledì 26 agosto 2009

"Un anno terribile" di John Fante



Quando leggo che un autore è morto lasciando inedite alcune delle sue opere, penso subito che abbia deliberatamente scelto di tenerle per sé e ritengo spesso la loro pubblicazione postuma un atto di violenza.
Nel caso di "Un anno terribile", è lo stesso Fante a definire l'opera non importante e poco significativa in alcune lettere pubblicate in calce al volume, uscito appunto postumo, grazie all'intervento di sua moglie.
Ovviamente, una simile premessa potrebbe far desistere dall'acquisto, ma sarebbe un peccato.
Infatti, anche se forse distante dalle vette raggiunte nelle opere più famose, "Un anno terribile" è un racconto di rara intensità, e dalle sue pagine la figura passionale di Dominic Molise, il dodicenne protagonista, emerge con una carica di simpatia dirompente. Nato da una famiglia di poverissimi emigranti italiani, ha solo una flebile speranza di sfuggire a una vita di miserie e stenti: riuscire a mettere a frutto il Braccio - il suo potentissimo braccio sinistro, donatogli, ne è convinto, da Dio - per entrare in una squadra di baseball della major league.
Ma come riuscire a partire, voltando le spalle a suo padre, che vuole fare di lui un muratore e fondare finalmente l'impresa edile di famiglia sempre sognata?
In poco più di cento pagine, Fante tratteggia da par suo i turbamenti del protagonista per il suo primo, irraggiungibile, amore; la miserevole condizione degli emigranti italiani negli USA; e un memorabile quanto controverso rapporto padre / figlio.
Tutto ciò raccontato con un accento tragicomico unico.
Che dire? Sarebbe stato davvero un peccato lasciare nel cassetto un racconto simile.

giovedì 13 agosto 2009

Per il giallo Mondadori, "Appuntamenti in nero", ma non certo al buio


Ieri mi stavo gustando la lettura di "Appuntamenti in nero" di Cornell Woorlich, recentemente ristampato ne "I classici del giallo Mondadori".
Ero totalmente immerso nell'atmosfera cupa del romanzo, avvinto dalla prosa di Woorlich, in attesa di sapere come l'inesorabile vendetta del protagonista sarebbe arrivata, chiedendomi chi e perché l'avesse privato del suo unico, vero, amore...
...quando mi è caduto lo sguardo sulla quarta di copertina, che di solito non leggo mai. Lì era spiegato per bene quale destino incongruo aveva spento la vita dell'amata Dorothy. Woorlich, chissà perché, aveva scelto di rivelarlo solo verso la fine dell'opera.
Ringrazio sentitamente la casa editrice per avermi risparmiato l'attesa e la sorpresa.

mercoledì 12 agosto 2009

“Ho freddo” di Gianfranco Manfredi



Classificare questo libro di Manfredi con le etichette elaborate per definire i vari generi è difficile e condurrebbe probabilmente a un errore.
L'unica definizione che mi pare calzare è quella che gli ha dato un mio amico a lettura ultimata: è il libro di vampiri che non ti aspetti.
E ciò vale sia per la forma che per il contenuto.
Infatti, se la narrativa contemporanea pare rincorrere la sintesi nel nome del ritmo e della tensione, in questo testo di oltre 500 pagine personaggi e ambienti sono invece minuziosamente descritti e anche i dialoghi grondano spesso di informazioni e riferimenti storici; così che accostare “Ho freddo” al romanzo ottocentesco, almeno per quanto riguarda la sua complessa struttura, non pare un azzardo. La tensione narrativa è spesso penalizzata, ma il risultato finale è quello di restituire una ricostruzione vivida di una certa società americana di fine '700.
E' però il contenuto dell'opera a sorprendere di più. Già sulle pagine del fumetto bonelliano “Magico Vento” di cui è creatore, Manfredi aveva raccontato il West in modo inedito: da episodi storici documentati ha tratto spunti per storie appartenenti ai generi più vari, dal thriller al giallo, passando per l'horror e il mistery. Con “Ho freddo” un procedimento creativo simile si ripete per fondere, nella struttura di un romanzo, una inchiesta storico-giornalistica e una riflessione religiosa e culturale.
Protagonisti della vicenda sono i fratelli gemelli Aline e Valcour, rispettivamente ricercatrice scientifica e medico. Insieme al giovane pastore protestante Jan Vos, si imbattono in alcune epidemie di consunzione che davvero mieterono varie vittime nello stato del Rhode Island. La popolazione, trovandosi a fronteggiare un male all'apparenza imbattibile, non ha dubbi: è il frutto dell'opera del demonio e solo rituali feroci, frutto di credenze superstiziose, possono scacciarlo. E i malati di consunzione che diffondono il morbo finiscono presto per essere considerati vampiri, “ladri” di vita.
Così, i protagonisti non devono combattere solo contro l'infezione, ma anche contro il pregiudizio e l'incultura.
Nelle note finali al volume, Manfredi scrive: “Sono intimamente convinto che il romanzo sia tuttora la forma espressiva più interattiva che esista, e che l'immaginazione di chi scrive, una volta espressa in parole stampate, possa diventare narrazione solo se rielaborata dall'immaginazione di ogni lettore.” In queste parole, non si cela solo una giustificazione alle scelte che hanno caratterizzato la creazione di quest'opera, ma anche una risposta ai tanti che ritengono il medium scrittura superato dalle nuove tecnologie.
Così, dimostrando di credere fortemente nelle potenzialità della narrazione scritta, Manfredi concepisce un testo complesso e di certo più impegnativo dei tanti a tema “Vampiri” che furoreggiano di questi tempi; un testo che non solo avvince, ma informa e induce a porsi diversi interrogativi, tutt'altro che banali.
E forse ci svela anche la vera origine del mito dei vampiri.
Davvero niente male, per un romanzo.

venerdì 7 agosto 2009

So long, John Hughes





Non è da tutti fare film leggeri, che sanno essere anche toccanti.
Grazie di tutto, John!