giovedì 21 agosto 2008

Di Terre Maledette & Tornado (ovvero: scusa, Tex)

Tex Willer deve raggiungere il suo fido pard Carson ad Amarillo, e per farlo decide di seguire il percorso più breve, quello che attraversa le cosiddette Indian Plains.
Le Pianure si annunciano da subito come lande deserte e ostili all'uomo, ma non sono l'unico ostacolo che Tex trova sulla strada. Si imbatte infatti nell'avvocato Lyman, anch'egli diretto ad Amarillo per partecipare al processo che sferrerà un attacco mortale al potere del rancher Ben Lowe.
Tex scopre ben presto che l'avvocato è seguito da una banda di sicari ingaggiati dallo stesso Lowe per ucciderlo e decide così di fargli da angelo custode.
Da queste premesse prende il via un'avventura coinvolgente, divertente e ricca di colpi di scena, che ha anche il merito di regalare al lettore tavole suggestive, che ben rappresentano il paesaggio della frontiera e le forze della natura con le quali i cow boys dovevano confrontarsi.
Anche se amo molto il genere western, confesso di avere snobbato per anni la collana di Tex Willer, convinto che non facesse che percorrere sentieri narrativi battuti sin troppe volte. Ebbene, questa storia di lunghezza doppia mi ha fatto ricredere. La realistica atmosfera delle praterie trattegiata nel primo numero e il brillante dipanarsi della trama nella seconda parte mi hanno convinto del fatto che il genere western "puro" (lontano, per intenderci, dalle contaminazioni di "Magico Vento") abbia ancora parecchio da offrire. E non solamente ai nostalgici appassionati dei film di John Wayne, ma anche a chi vuole gustare un'avventura ben congegnata, affrontata da un eroe positivo, senza macchia e senza paura.

lunedì 18 agosto 2008

Tornato



11 ore.
Tanto è durato il mio viaggio di ritorno dal Molise, sabato scorso.
I pronostici favorevoli dei siti specializzati in statistiche sul traffico sono stati ribaltati dall'imprevedibilità di quella specie di flipper gigante chiamato A14. Tra traiettorie folli, collisioni mancate e avvenute, rallentamenti dovuti a strettoie e cambi di corsia, il viaggio, che secondo navigatore ed esperienza "umana" poteva compiersi in poco più di sette ore, si è rubato l'intera giornata.
Anche se il tragitto è stato tranquillo (andavamo troppo piano perché le nostre spine dorsali potessero essere percorse da qualche brivido), e la A14 è in condizioni migliori di tante autostrade (rispetto alla A4 Torino - Venezia è un gioiello), non posso fare a meno di pensare che un viaggio sulle autostrade italiane, oggi, sia un rischio enorme.
Forse lo spauracchio dei punti patente persi funziona ancora, e i limiti di velocità, in genere, vengono osservati, ma a quante pericolose infrazioni abbiamo assistito!
Sorpassi improvvisi, sulla destra e ad alta velocità, dribbling di auto compiuti avvalendosi di tutte le corsie disponibili, anche di quella di emergenza, carichi "pendenti" non segnalati e nemmeno ben assicurati...
Considerato il numero di auto in circolazione, mi sarebbe piaciuto vedere sulle strade una presenza più massiccia di "forze dell'ordine", perché senza di loro gli Italiani paiono sempre sentirsi autorizzati a soddisfare l'Ayrton Senna che si sentono dentro. Dimenticando, però, quale fine abbia fatto.

martedì 5 agosto 2008

Dylan Dog - La collina dei conigli


Ho appena letto l'ultimo numero di Dylan Dog, che affronta il tema della vivisezione e che ha scatenato sul blog di Roberto Recchioni un'accesa discussione sul rapporto uomo - animali e sulla necessità (oltre che sulla legittimità) di compiere esperimenti su di loro.
Non intendo pronunciarmi su questo tema, ma prendere solo spunto dall'ultimo numero dell'Indagatore dell'Incubo per riflettere sul percorso di uno dei miei personaggi preferiti.
Dylan Dog ha iniziato la sua avventura editoriale visitando molti luoghi comuni del genere horror, approcciandoli a volte con rispetto e altre volte stravolgendoli con l'ironia.
Inoltre, l'orrore che ci ha mostrato all'inizio della sua vita editoriale aveva ANCHE a che fare con le brutture dell'uomo e della vita moderna, fatta di solitudine, alienazione, ripetitività e freddezza.
Però a giudicare dagli ultimi numeri di Dylan Dog, pare che ormai il nostro old boy viva nell'impossibilità di vivere una "serena" avventura (horror o non), per essere condannato a portare avanti a testa bassa una crociata contro i mali del nostro tempo.
Per carità, sono il primo a sostenere che i fumetti possono trattare argomenti "alti", ma possibile che non ci sia numero in cui non compaia un clochard, un cane abbandonato, un vecchietto rimasto solo o...dei conigli arrabbiati?
Sembra quasi che ora Dylan Dog si senta legittimato a raccontare l'orrore solo a patto di condurre battaglie importanti, dopo aver perso, però, quella, non meno importante, contro il buonismo.

venerdì 1 agosto 2008

Come una magia


A otto o nove anni ho ricevuto in regalo un set completo di trucchi da mago.
Ricordo ancora la scatola gigantesca della confezione (un regalo "grande" era di per sé sinonimo di bel regalo) sulla quale campeggiava il volto di Silvan, sorridente sotto una cotonatura da olimpiadi.
All'epoca doveva essere all'apice della carriera: appariva in televisione di continuo e il suo "sim sala bim" era il grido di battaglia col quale io e i miei compagni di scuola accompagnavamo ogni sparizione di matita o astuccio.
Non esagero se dico che aprire quella scatola è stato uno dei momenti più emozionanti della mia carriera di bambino.
Infatti mi aspettavo di trovare davvero della magia (in particolare, le istruzioni per tagliare a fette una persona, scomporla e rimetterla insieme), ma non rimasi comunque deluso dal contenuto, anche se ben più modesto: la bacchetta magica in plastica, da montare, cava all'interno per contenere il fazzoletto più lungo del mondo, mezzo uovo (sempre in plastica) che poteva sparire a comando (capovolgendolo nel relativo portauovo), un mazzo di carte truccato (ma che non riuscì mai a ingannare la mia pro zia di ottant'anni), una scatola con doppio fondo e un voluminoso manuale di istruzioni.
Anche senza formule magiche fu quest'ultimo ad assorbire la mia attenzione. I trucchi svelati erano spesso semplici, ma ogni pagina di quel libretto trasudava di un ingegno creativo che mi lasciava ammirato.
Mi chiedo se sono poi cambiato molto, da allora.
Oggi la magia che preferisco non è nascosta nelle maniche di un frac o nel fondo di un baule "sigillato"; i miei illusionisti preferiti ora hanno pagine scritte per palcoscenico ed estraggono i loro conigli dal vocabolario invece che da cappelli a cilindro. Però un colpo di scena imprevisto o una similitudine azzeccata mi conquistano allo stesso modo.
E tenendo conto che Stephen King definisce la scrittura come "telepatia", forse intravvedere un parallelismo tra i suoi "trucchi", per sviare e tenere avvinto il lettore, e quelli di un mago che spopolava negli anni '80, potrebbe non essere folle. Chissà.
Io, comunque, me ne guardo bene.