sabato 25 giugno 2011

Lee Child e il giusto numero di parole per raccontare una storia

Dopo "Zona pericolosa" mi sono accinto la settimana scorsa a leggere un altro romanzo di Lee Child, "Trappola mortale."
Anche questo ha per protagonista l'ex ufficiale della polizia militare Jack Reacher, che tanta fortuna ha dato al suo autore.
Anche quest'opera ha destato in me le perplessità che avevo avuto leggendo la prima avventura di Reacher.
Child pigia forte sull'acceleratore e le prime cento pagine le si divora in un lampo. Gli basta un preambolo minimo e ci si ritrova con il protagonista alle prese con un omicidio, a propria volta inseguito da un paio di killer e alle prese con una vecchia fiamma mai dimenticata.
In poche parole, non dovrebbe mancare nulla per tenere il lettore avvinghiato al libro.
E se in effetti Child pare ben sapere quali siano gli ingredienti da mescolare per raccontare una storia avvincente, non mi pare che le sue scelte formali siano altrettanto condivisibili.
Prima di tutto, opta per un piatto stile giornalistico del tutto estraneo all'ironia o all'umorismo in generale. E va bene, stiamo seguendo le vicende di un eroe duro e puro, di un cavaliere senza macchia, ma magari una battutina ogni tanto - giusto per alleggerire un po' l'esposizione - la si potrebbe anche infilare. Nemmeno quando descrive la nuova dieta del protagonista - basata sul "mangia quanto vuoi" ma bevi almeno sei litri di acqua al giorno - Child strizza l'occhio al pubblico o si permette di prendere un po' in giro il bellimbusto che ha inventato.
Oltre a questo, Child si dimostra un cieco seguace dello "show, don't tell", portato alle estreme conseguenze. Segue i diversi protagonisti della vicenda in ogni momento e descrive in modo minuzioso ogni loro azione. E non si può certo dire che siano tutte degne di nota, anzi. Un esempio: un personaggio mette in vendita il proprio appartamento? Bene, il lettore assiste a tutta la telefonata con l'agenzia immobiliare.  Certo, era un'azione utile a connotare la psicologia del personaggio, ma forse due righe secche di "raccontato" avrebbero portato allo stesso risultato senza annoiare.
Consegueza diretta? Ho abbandonato la lettura, poco oltre la metà. La sensazione che l'autore menasse il can per l'aia era insopportabile. Non ho trovato virtuosismi letterari (non che li stessi cercando o li pretendessi proprio da Child), non ho intravisto trovate particolarmente brillanti, ma soprattutto mi ha dato fastidio la sensazione di essere "intrattenuto".
Adesso sono alle prese con "Hot kid" di Elmore Leonard. E per ora ne consiglierei davvero la lettura. Anche a Child.   

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