venerdì 17 ottobre 2008

In treatment



Non credo di essere originale se accomuno la televisione a un buco della serratura, dal quale spiare in tutta tranquillità, senza paura che qualcuno ci sorprenda.
'In treatment', serie televisiva americana da poco nei palinsesti di Sky, ha acuito in me la sensazione di intromettermi in affari altrui, perché questa volta la scena che appare davanti al buco della serratura è costituita dalla stanza in cui uno psicologo (Gabriel Byrne) riceve i propri pazienti.
E per tutta la durata dell'episodio lo spettatore (lo spione?) assiste solo alla conversazione tra questi e il terapista. Non ci sono stacchi. La scena rimane solo quella: un dialogo tra due persone.
Qualcuno potrebbe ritenere che uno spettacolo televisivo in cui non succede sostanzialmente nulla sia noioso. Invece 'In treatment' non lo è affatto.
All'interesse voyeuristico nascente dalla consapevolezza di assistere a un colloquio riservato, gli autori uniscono una grande perizia nella costruzione dei dialoghi. Così, se anche la scena rimane in effetti sempre la stessa, le parole del paziente di turno ci catturano: scivolano di continuo dal passato al presente, omettono, nascondono (anche a sé stessi), riferiscono dettagli che al momento paiono inutili o allusivi, ma che infine delineano la storia di un'esperienza significativa o addirittura la storia di una persona.
Una serie concepita in modo intelligente e ben recitata, che non ha bisogno di effetti speciali per avvincere perché si serve al meglio del potere evocativo delle parole.

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