sabato 15 novembre 2008

Una scelta difficile

Ieri,dopo aver sentito il padre di Eluana Englaro commentare l'esito del procedimento giudiziario avente per oggetto la sorte della propria figlia, e rappresentare la possibilità di interrompere la nutrizione di Eluana come il riconoscimento di un diritto, credevo di aver raggiunto una opinione definitiva in merito.
Mi avevano anche colpito le parole di un medico ospite della trasmissione di Bruno Vespa, il quale sottoponeva al pubblico la seguente riflessione: se la legge (la Costituzione) riconosce al cittadino il diritto di scegliere se sottrarsi o non a una terapia medica qualsiasi, allo stesso modo e sulla base dei medesimi principi gli deve riconoscere anche la possibilità di scegliere se accettare lo stato vegetativo persistente o rifiutarlo.
Insomma, in uno stato laico e di diritto, sostengono in sostanza il padre di Eluana e chi ne condivide le idee, al cittadino deve essere riconosciuto il diritto di dettare il proprio testamento biologico. Fino a questa sera mi pareva che il ragionamento fosse ineccepibile.
Invece, poche ore fa ho affrontato l'argomento con il mio medico rianimatore preferito (la mia dolce metà), e, come spesso accade, mi ha fatto ritornare nel dubbio.
Secondo la sua opinione, consentire a chiunque di esprimere la propria volontà in anticipo rispetto al momento in cui non sarà più in grado di farlo potrebbe rappresentare un autentico azzardo, con la posta in palio più alta che ci possa essere.
Infatti, prescindendo dalla pur rilevante considerazione che non tutti sarebbero in grado di apprezzare appieno le potenziali conseguenze della dichiarazione di testamento biologico, sarebbe la stessa natura dello stato vegetativo persistente a sconsigliare scelte aprioristiche.
Secondo quanto mi ha detto, molti casi di stato vegetativo persistente si risolvono in un inatteso risveglio, e spesso in tempi brevi, pari a pochi mesi.
Si tratterebbe, in sostanza, di giocare una mano di poker "al buio" con la propria vita. Non sappiamo ancora quali carte ci ritroveremo in mano, ma scegliamo di rinunciare al piatto e ritirarci, nel nome di quella dignità che il nutrimeno forzato e prolungato (ma per quanto tempo?) ci sottrarrebbe.
Per un altro verso, pare che la letteratura medica non conosca casi di risveglio dallo stato vegetativo persistente decorsi dieci anni.
Sarebbe dunque legittimo, per una legge statale, prevedere che oltre il decimo anno la nutrizione sia comunque sospesa, come se esistesse una sorta di presunzione di "non risveglio"?
L'eventualità che la scelta competa ad altri (allo Stato) mi spaventa in ogni caso.
In conclusione, non sono ancora riuscito a raggiungere un punto fermo sulla questione, ma credo che sia da evitare ciò che invece ha segnato l'epilogo della parabola di Eluana: la ricerca della volontà presunta e mai formalizzata non dovrebbe secondo me essere consentita senza una norma che consenta il testamento biologico, perchè ciò spalanca le porte a una zona d'ombra già ben rappresentata dallo stato vegetativo persistente, oltre che a un paradosso. Infatti, al momento, la dichirazione di testamento biologico espressa non ha valore, ma è invece efficace quella presunta e ricostruita ex post.

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